Tra le tradizioni culinarie associate alla Settimana Santa in Spagna, il potaje de vigilia, un umile stufato di ceci e baccalà, si distingue per la sua presenza duratura e la sua rilevanza culturale. Servito in tutto il paese nelle case, nei monasteri, nelle mense dei poveri e nei ristoranti, questo piatto è da secoli un punto fermo dei pasti del Venerdì Santo, offrendo un gustoso specchio di una stagione storicamente caratterizzata da restrizioni alimentari.
I ceci: un caposaldo della cucina iberica
I ceci (Cicer arietinum) sono uno dei primi legumi coltivati, con prove archeologiche che ne fanno risalire le origini alla Mezzaluna Fertile. Il loro arrivo nella penisola iberica è spesso attribuito alle pratiche agricole cartaginesi, precedenti all’influenza romana. Nel corso del tempo, il raccolto si è adattato bene all’arido interno della penisola, dove è diventato un pilastro alimentare sia tra le popolazioni rurali che tra quelle urbane.
Il ruolo del legume nella gastronomia spagnola è ben documentato. L’autore francese Alexandre Dumas, viaggiando attraverso la Spagna nel XIX secolo, notoriamente osservò la resistenza del cece nella pentola: “un legume come il pisello, duro come una palla di moschetto nonostante la lunga cottura”. Anche il viaggiatore britannico Richard Ford, nel suo Handbook for Travellers in Spain (1844), ne ha osservato l’onnipresenza. Autori spagnoli, da Benito Pérez Galdós a Pedro García Cabrera, hanno utilizzato il cece in metafore e versi per evocare temi quali la sopravvivenza, la povertà e il sostentamento.
Radici medievali e artigianato monastico
La storia del potaje affonda le sue radici nella sussistenza medievale e nella disciplina monastica. I ceci erano apprezzati per il loro valore nutritivo, la versatilità e la durata di conservazione, qualità essenziali in una società preindustriale basata sull’agricoltura. In Al-Andalus, la coltivazione e l’uso culinario dei ceci fiorirono, spesso in combinazione con verdure, spezie e talvolta pesce conservato. Verso la fine del Medioevo, le varianti di stufati a base di legumi si erano diffuse.
Due regioni si sono storicamente distinte per i loro stufati di ceci: Zamora, celebrata nel XVII secolo dallo scrittore Francisco de Quevedo, e Valencia del Ventoso a Badajoz, che oggi cerca di ottenere lo status di Indicazione Geografica Protetta dall’Unione Europea.
Il contesto monastico si è rivelato fondamentale per l’evoluzione del piatto. I conventi spagnoli, legati ai ritmi della vita liturgica, hanno sviluppato una filosofia culinaria caratterizzata da moderazione, utilità e coerenza. In queste cucine di clausura, ricette come il potaje de vigilia venivano codificate attraverso precisi rituali: un lungo ammollo dei ceci, un’attenta dissalatura del merluzzo e una sapiente stratificazione di sapori attraverso una base di cipolle, aglio e paprika. Alla fine venivano aggiunte verdure a foglia verde, tipicamente spinaci o bietole, per bilanciare la densità del piatto.
Merluzzo: Un viaggiatore del nord nelle cucine del sud
Il baccalà divenne l’ingrediente caratterizzante del potaje de vigilia grazie a una serie di fattori quali il commercio, la geografia e la tradizione. Durante il Medioevo, le norme cristiane sul digiuno proibivano il consumo di carne durante la Quaresima e altre stagioni penitenziali, ma consentivano il consumo di pesce. Il baccalà, resistente, trasportabile ed economico, si rivelò una soluzione pratica per le comunità interne lontane dal mare.
Nel XV secolo, il merluzzo dell’Atlantico settentrionale raggiunse i mercati iberici attraverso reti commerciali in espansione. La sua adozione fu particolarmente importante nella Spagna centrale, dove fu combinato con legumi locali per formare un alimento base duraturo. Il merluzzo salato divenne, paradossalmente, il pesce dell’entroterra.
I conventi come archivi culinari
Le cucine dei monasteri non erano solo funzionali, ma anche depositi culturali. Le comunità religiose di tutta la Spagna, in particolare quelle francescane, benedettine e carmelitane, svilupparono pratiche culinarie distinte, plasmate dalle tradizioni locali e dalle influenze interreligiose. Queste cucine perfezionarono le tecniche e le proporzioni di piatti come il potaje de vigilia, conservandoli in ricettari manoscritti spesso custoditi negli archivi monastici.
Cucinare in convento era sia una necessità che un atto da compiere con disciplina. Le ricette venivano tramandate con la stessa cura dei testi liturgici e la cucina stessa era vista come una forma di servizio comunitario. I monasteri spesso offrivano ospitalità a viaggiatori, pellegrini e poveri, soprattutto durante le feste e i periodi di osservanza pubblica. Attraverso questo contatto con la società in generale, le ricette monastiche entrarono nelle cucine della gente comune.
In molti conventi, la vendita di cibi preparati (stufati, dolci e conserve) divenne una fonte di reddito e un mezzo di salvaguardia culturale. L’atto di preparare il potaje de vigilia, quindi, andava oltre il nutrimento. Entrò a far parte di una tradizione più ampia di lavoro stagionale, assistenza sociale e memoria culinaria.
Un’eredità duratura
Oggi il potaje de vigilia rimane un emblema culinario della Settimana Santa spagnola, incarnando i valori di intraprendenza, pazienza e patrimonio comune. Sebbene le sue origini risalgano a un particolare calendario religioso, il piatto ha da tempo trasceso la sua funzione liturgica. Continua a comparire ogni primavera sia in spazi secolari che sacri, a testimonianza della duratura eredità della cucina monastica e delle profonde radici dei legumi nel palato iberico.